Imposta fissa sull’atto di mero riconoscimento del debito


Con la sentenza n. 7682 del 16 marzo 2023, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno chiarito il regime fiscale applicabile alla ricognizione di debito in relazione all’imposta di registro.

Prima di tutto, occorre soffermarsi sulla natura giuridica della ricognizione di debito, disciplinata dall’art. 1988 del Codice civile: essa non costituisce autonoma fonte di obbligazione, ma determina una relevatio ab onere probandi, con la conseguenza che il destinatario della ricognizione di debito è dispensato dall’onere di provare l’esistenza del rapporto fondamentale, che si presume fino a prova contraria.

In particolare, con la suddetta sentenza è stato evidenziato che la scrittura privata non autenticata che riconosce un debito, ai fini dell’imposta di registro, rientra nell’articolo 4, parte II della tariffa, che prevede l’applicazione di un’imposta fissa per le scritture private non autenticate, non relative a prestazioni patrimoniali, in caso d’uso.

Il riconoscimento del debito è quindi soggetto a un’imposta di registro in misura fissa, e il deposito di un atto presso l’autorità giudiziaria in sede contenziosa non costituisce il “caso d’uso” e, di conseguenza, non comporta la tassazione dell’atto depositato. Questi sono i due importanti principi di diritto stabiliti dalle Sezioni Unite della Cassazione nella sentenza n. 7682/2023, che affronta una questione di particolare rilevanza.

La Cassazione, infatti, pone fine a una disputa pluridecennale riguardante la tassazione della ricognizione di debito. Nel corso del tempo sono state sostenute varie tesi: tassazione in misura fissa, tassazione proporzionale e, in quest’ultimo caso, applicazione delle aliquote dello 0,5%, dell’1% e del 3%.

Ora, la Cassazione riconosce definitivamente che la ricognizione del debito non ha carattere patrimoniale, poiché non crea un’obbligazione: dal punto di vista civile, ha un effetto meramente processuale. Infatti, chi utilizza una scrittura in cui un altro soggetto si riconosce debitore, può esigere il pagamento promesso senza dover dimostrare la fonte del credito. È il debitore a dover provare l’inesistenza del titolo che dà origine alla pretesa del creditore o che il debito è già stato estinto per qualsiasi motivo.

Il riconoscimento del debito inverte quindi l’onere della prova: invece di spettare al creditore dimostrare la validità della pretesa, è il debitore a dover provare di non aver mai avuto il debito o che il debito non esiste più.

Il caso giudicato dalle Sezioni Unite è derivato da un avviso di accertamento relativo a una scrittura privata di riconoscimento di debito presentata da un creditore a supporto di una richiesta di decreto ingiuntivo. La Cassazione ha colto l’occasione per contestare la tesi dell’Agenzia delle Entrate secondo cui questa situazione configurerebbe il “caso d’uso”.

La Cassazione chiarisce che il “caso d’uso” si verifica solo se l’atto è depositato presso una cancelleria giudiziaria che opera nell’ambito della giurisdizione volontaria, e non in ambito contenzioso, basandosi sul principio che la tutela giurisdizionale non può essere ostacolata da un tributo dovuto per atti prodotti al giudice.

DISCLAIMER

Gentile utente,

gli articoli e i contenuti del sito illustrano sinteticamente tematiche giuridiche, economiche e fiscali. Le informazioni contenute nel sito hanno solo carattere esemplificativo, informativo e non hanno carattere esaustivo, né possono essere intese come espressione di un parere legale. Nessuna responsabilità derivante da un utilizzo improprio dei contenuti del sito, da eventuali modifiche intervenute nella normativa o da possibili imprecisioni, potrà essere pertanto imputata al Notaio Edoardo Del Monte o agli estensori delle pubblicazioni medesime.